Acne e Alimentazione


“Dott.ssa buongiorno, 

ho trovato il suo numero di internet. Ho un problema di acne, ho fatto i dosaggi ormonali ed è tutto a posto. Il ginecologo mi ha detto che potrebbe essere una questione alimentare. Mi può aiutare?”

L’acne è una delle condizioni dermatologiche più comuni nel mondo1. Siamo abituati a pensare che l’acne sia un problema adolescenziale. In effetti, la prevalenza è più alta negli adolescenti e nei giovani adulti e diminuisce dopo i 30 anni. Tuttavia, l’incidenza sopra i 40 anni è in aumento soprattutto nelle donne2

La comprensione della patogenesi dell’acne è ancora in evoluzione tuttavia si sa che i fattori che influiscono sono molteplici e tra questi:

-le influenze genetiche,

-ormonali,

-infiammatorie,

-ambientali.

 

Data la sua implicazione in molti di questi fattori non è difficile pensare che la dieta possa avere un effetto benefico.

Non dimentichiamo che mangiamo dalle tre alle cinque volte al giorno ed è impossibile pensare che quello che ingeriamo in qualche modo non influenzi il nostro stato di salute.  

 

Vediamo insieme a cosa fare attenzione:

 

Carico glicemico del pasto (ecco un articolo che spiega cos’è il carico glicemico e perché è più importante dell’indice glicemico https://specialistanutrizionista.it/blog/indice-o-carico-glicemico/). Diversi studi hanno dimostrato che individui con acne che consumano diete a basso carico glicemico hanno lesioni da acne ridotte rispetto agli individui con diete ad alto carico glicemico. Infatti,una dieta a basso indice glicemico riduce l’indice di androgeni liberi e aumenta la proteina-3 che lega il fattore di crescita dell’insulina e riduce anche i livelli di IGF-1, che è implicato nella produzione di sebo e nell’occlusione follicolare3.

A volte mi viene detto: “Dott.ssa ho anche eliminato tutto il cioccolato dall’alimentazione”.

Il cioccolato è sempre stato considerato un fattore che può contribuire all’esacerbazione dell’acne, ma esiste una quantità molto limitata di prove a sostegno del suo impatto negativo sulla pelle. Ovviamente, come sempre l’equilibrio è la parola d’ordine per cui tanto dipende anche dalla quantità di cioccolato che si è abituati a consumare.

In alcuni casi, una riduzione del consumo potrebbe avere effetti benefici4.

 

I latticini5. Le proteine ​​del siero sono responsabili degli effetti insulinotropici del latte e possono contribuire allo sviluppo dell’acne. E’ stato dimostrato che la caseina stimola l’IGF-1. Questa potrebbe essere una spiegazione del perché coloro che assumono integratori derivati da siero di latte, pratica comune nei centri fitness e nelle palestre, vedono un inizio o un aggravamento dell’acne.

 

Consumo di acidi grassi omega-3 e acido γ-linoleico6. Gli studi dimostrano che gli individui con acne beneficiano di diete a base di pesce e oli sani, frutta secca e semi aumentando così l’assunzione di acidi grassi omega-3 e omega-6. È stato dimostrato che gli acidi grassi Omega-3 riducono l’IGF-1 e inibiscono anche la sintesi del leucotriene infiammatorio B4, che a sua volta riduce le lesioni infiammatorie dell’acne.  Diversi studi mostrano come l’aggiunta di un integratore di acidi grassi omega-3 o di un integratore di acido γ-linoleico riduca significativamente il numero di lesioni infiammatorie e non infiammatorie.

 

Probiotici7 in individui con acne presentano risultati promettenti; sono necessari ulteriori studi sugli effetti dei probiotici sull’acne per supportare i risultati di questi primi studi. Tuttavia, è stato dimostrato che la somministrazione concomitante di una miscela probiotica, tra cui Lactobacillus casei, Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus thermophilus, e acidi grassi, aumenta i livelli ematici di acidi grassi antinfiammatori. Inoltre, sia nell’acne che nella disbiosi intestinale, è stata osservata un’aumentata espressione della sostanza P che può innescare un aumento dei mediatori proinfiammatori come l’interleuchina-6 e il fattore di necrosi tumorale-α, entrambi implicati anche nella patogenesi dell’acne.

 

Le specie reattive dell’ossigeno prodotte dai neutrofili partecipano alla progressione infiammatoria dell’acne. Le specie reattive dell’ossigeno vengono normalmente rimosse da antiossidanti cellulari come la glucosio-6-fosfato deidrogenasi e la catalasi, entrambe presenti in piccole quantità nei pazienti con acne. L’utilizzo di integratori antiossidanti posso essere quindi una buona strategia coadiuvante nel trattamento dell’acne8.

 

Selenio8. Nei pazienti con acne sono stati documentati bassi livelli di selenio nel sangue. Poiché l’attività dell’enzima glutatione perossidasi dipende dal selenio è possibile che anche  l’integrazione di selenio possa essere utile nell’acne.

 

Zinco9. Lo zinco è un micronutriente essenziale per lo sviluppo e il funzionamento della pelle umana. È batteriostatico, inibisce la chemiotassi e riduce la produzione di citochine pro-infiammatorie e del fattore di necrosi tumorale α (TNF-α). Come dico sempre è importantissimo rivolgersi ad un professionista e non utilizzare gli integratori a caso. Anche gli integratori infatti possono dare effetti collaterali. Per esempio, l’integrazione di zinco può portare a diversi effetti collaterali gastrointestinali che possono essere ridotti consumando zinco direttamente dopo i pasti. Inoltre, poiché lo zinco riduce l’assorbimento del rame, è importante associare l’integrazione di zinco a quella di rame.

 

Vitamina A10. La vitamina A è un gruppo di composti che si sono dimostrati efficaci nel trattamento dell’acne. In questo caso è essenziale bilanciare bene l’alimentazione in modo da consentire all’organismo di assorbire questa importante vitamina. Si trova principalmente nelle verdure di colore rosso e nei prodotti di origine animale. E’ una vitamina liposolubile sensibile al calore. Da qui l’importanza di mangiare frutta e verdura cruda in caso di acne.

 

Il grande problema dell’alimentazione è che gli effetti di un’alimentazione scorretta non sono facilmente riconducibili ad essa. Capita spesso di sentirmi dire: “ Non credo sia una questione alimentare. Ho sempre mangiato così e questo problema mi è comparso nel tempo.”

Qualcuno diceva:

“Il cibo che mangi può essere o la più sana e potente forma di medicina o la più lenta forma di veleno”. (Ann Wigmore) 

Ed è proprio così… ed è un veleno potentissimo perchè non ti fa ammalare istantaneamente ma il suo lavoro è lento e profondo.

 

  1. Epidemiology of acne in the general population: the risk of smoking. T Schäfer, A Nienhaus, D Vieluf, J Berger, J Ring
  2. The prevalence of acne in adults 20 years and older. Christin N Collier, Julie C Harper, Jennifer A Cafardi, Wendy C Cantrell, Wenquan Wang, K Wade Foster, Boni E Elewski
  3. A pilot study to determine the short-term effects of a low glycemic load diet on hormonal markers of acne: a nonrandomized, parallel, controlled feeding trial. Robyn Smith, Neil Mann, Henna Mäkeläinen, Jessica Roper, Anna Braue, George Varigos
  4. Double-blind, placebo-controlled study assessing the effect of chocolate consumption in subjects with a history of acne vulgaris.  Caperton C, Block S, Viera M, Keri J, Berman B
  5. Milk consumption and the prepubertal somatotropic axis. Rich-Edwards JW, Ganmaa D, Pollak MN, Nakamoto EK, Kleinman K, Tserendolgor U, Willett WC, Frazier AL
  6. Omega-3 fatty acids and acne. Logan A.
  7. The gut microbiome as a major regulator of the gut-skin axis. Salem I, Ramser A, Isham N, Ghannoum M.
  8. Diet and acne. Bowe WP, Joshi SS, Shalita AR
  9. A double-blind study of the effect of zinc and oxytetracycline in acne vulgaris. Michaëlsson G, Juhlin L, Ljunghall K
  10.  Oral vitamin A in acne vulgaris. Preliminary report.
  11. Kligman AM, Mills OH Jr, Leyden JJ, Gross PR, Allen HB, Rudolph RI

Psoriasi e alimentazione


La psoriasi è una malattia cronica infiammatoria della pelle caratterizzata da un’iperproliferazione e differenziazione anormale dei cheratinociti epidermici e a genesi multifattoriale cui partecipano fattori genetici, ambientali ed immunologici.

E’ una patologia con un forte impatto invalidante sia sul fisico sia sulla psiche, poiché le lesioni tipiche spesso interessano zone visibili come volto e mani.

Circa il 3% della popolazione italiana ne soffre1 e circa il 25-30% è colpito da una forma moderata-grave2.

Insorge prevalentemente in due fasce d’età, uno precoce (20-30 anni) e uno tardivo (50-60 anni)3 con un rapporto uomo:donna pari a 1:14. Tuttavia, esistono casi di psoriasi in età pediatrica.

Recenti studi hanno dimostrato che è una patologia spesso associata ad obesità, diabete, dislipidemia, malattie cardiovascolari o malattie infiammatorie intestinali e in linea generale ad infiammazione sistemica di basso grado.

Pertanto, il ruolo della “dieta” è importantissimo e cruciale in questo genere di patologie.

Vediamo insieme come.

Innanzitutto, è stato dimostrato che l’obesità è associata alla psoriasi per la presenza di uno stato pro-infiammatorio cronico che favorisce diversi disordini metabolici, contribuendo a una ridotta qualità della vita e delle abitudini alimentari dei pazienti5 e che il rischio relativo di psoriasi è direttamente correlato all’indice di massa corporea (BMI)6.

Il tessuto adiposo, infatti, agisce come un tessuto endocrino attivo e dà luogo a uno stato pro-infiammatorio nei pazienti in sovrappeso7.

Per cui è di estrema importanza perdere peso attraverso diete ipocaloriche BILANCIATE che riducono i livelli di insulina, leptina, proteina C-reattiva e proteina 1 chemiotattica e aumentano i livelli di adiponectina, producendo un effetto antinfiammatorio.

Ma non solo!

Diversi studi hanno dimostrato che è la qualità delle sostanze nutritive all’interno della “dieta” di questi pazienti che fa la differenza.

La psoriasi è meno frequente nelle popolazioni giapponesi, norvegesi ed eschimesi la cui dieta è ricca di acidi grassi, come gli omega-3, derivati ​​dall’olio di pesce d’acqua fredda; ciò contrasta con la maggiore frequenza di psoriasi nelle popolazioni che consumano oli vegetali e animali tipici delle diete occidentali, che sono ricche di omega-68.

Gli Omega-3 competono con l’acido arachidonico (AA) a livello delle membrane fosfolipidiche e quindi riducono l’infiammazione indotta dalle prostaglandine.

Sono stati osservati livelli aumentati di acido arachidonico e leucotrieni nelle placche psoriasiche rispetto alle aree della pelle normale9 e le fonti alimentari di acido arachidonico includono prodotti animali, come carne e tuorlo d’uovo.

Per cui, “diete” ricche di prodotti animali peggiorano la patologia.

È stata descritta, inoltre, un’associazione tra la celiachia e diverse malattie autoimmuni tra cui anche la psoriasi. I livelli di anticorpi (anti-gliadina, anti-endomisio e anti-transglutaminasi) sono correlati alla gravità della psoriasi.

Attenzione: c’è da sottolineare il fatto che nella maggior parte di questi pazienti l’enteropatia glutine-sensibile si manifesta con pochi o nessun sintomo gastrointestinale.

Per cui, “diete” prive di glutine danno miglioramenti notevoli sulla patologia10.

L’eccessiva assunzione di zuccheri semplici può aggravare la patologia11.

La soia sembra essere un potenziale agente anti-psoriasi12. Gli isoflavoni sono fitoestrogeni abbondanti nella soia e la genisteina è l’isoflavone principale con una potente attività antinfiammatoria.

La psoriasi può essere innescata o peggiorata dall’assunzione di alcol13.

E infine, tantissimi studi correlano una alterazione della flora intestinale alla patologia.

I probiotici sono microrganismi viventi che conferiscono benefici per la salute all’ospite se somministrati in quantità adeguate14.

Sono microrganismi in grado di modulare il nostro sitema immunitario ed è stato dimostratpo che l’assunzione di Lactobacillus e Bifidobacterium ha effetti benefici sui pazienti affetti da psoriasi.

Le diete ricche di frutta e verdura fresca sono associate a una minore prevalenza di psoriasi e le diete vegane/vegetariane sono state associate a un miglioramento clinico.

Il cibo può essere una potente medicina e nel caso della psoriasi gli effetti sono abbastanza immediati.

Sono “diete” particolari che hanno necessità di essere ben bilanciate per evitare carenze nutrizionali e consiglio sempre di rivolgersi ad un professionista che si occupa di nutrizione clinica.

 

 

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  5. Duarte GV, Follador I, Cavalheiro CM, Silva TS, Oliveira Mde F. Psoriasis and obesity: literature review and recommendations for management. An Bras Dermatol. 2010;85(3):355–360.
  6. Naldi L, Chatenoud L, Linder D, et al. Cigarette smoking, body mass index, and stressful life events as risk factors for psoriasis: results from an Italian case-contrel study. J Invest Dermatol 2005; 125(1):61–67.
  7. Hamminga EA, van der Lely AJ, Neumann HA, Thio HB. Chronic inflammation in psoriasis and obesity: implications for therapy. Med Hypotheses, 2006;67(4):768–773.
  8. Søyland E, Funk J, Rajka G, et al. Effect of dietary supplementation with very-long-chain n-3 fatty acids in patients with psoriasis. N Engl J Med. 1993;328(25):1812–1816
  9. Voorhees JJ. Leukotrienes and other lipoxygenase products in the pathogenesis and therapy of psoriasis and other dermatoses. Arch Dermatol. 1983;119(7):541–547.
  10. Michaëlsson G, Gerdén B, Hagforsen E, et al. Psoriasis patients with antibodies to gliadin can be improved by a gluten-free diet. Br J Dermatol. 2000;142(1):44–51.
  11. Afifi, L.; Danesh, M.J.; Lee, K.M.; Beroukhim, K.; Farahnik, B.; Ahn, R.S.; Yan, D.; Singh, R.K.; Nakamura, M.; Koo, J.; et al. Dietary behaviors in psoriasis: Patient-reported outcomes from a U.S. National Survey. Dermatol. Ther. 2017, 7, 227–242.
  12. Pazyar, N.; Yaghoobi, R. Soybean: A potential antipsoriasis agent. Jundishapur J. Nat. Pharm. Prod. 2015, 10, e20924.
  13. Svanström, C.; Lonne-Rahm, S.B.; Nordlind, K. Psoriasis and alcohol. Psoriasis (Auckl) 2019, 9, 75–79.
  14. Alesa, D.I.; Alshamrani, H.M.; Alzahrani, Y.A.; Alamssi, D.N.; Alzahrani, N.S.; Almohammadi, M.E. The role of gut microbiome in the pathogenesis of psoriasis and the therapeutic effects of probiotics. J. Family Med. Prim. Care 2019, 8, 3496–3503.

La fermentazione


La fermentazione è una tecnica di conservazione che esiste da milioni di anni1 e che al giorno di oggi ha visto una crescente popolarità che ha portato a incomprensioni e domande, prima fra tutte quale è la definizione di cibo fermentato.

La lunga durata di conservazione dei cibi fermentati e la rimozione di alcuni composti nocivi durante il processo di fermentazione serve ancora nelle regioni del mondo che hanno una bassa sicurezza alimentare e uno scarso accesso alla refrigerazione, all’elettricità e all’acqua pulita. Tuttavia, anche nelle società in cui l’igiene e la conservazione non sono un problema, i cibi fermentati costituiscono una parte importante della dieta dell’essere umano.

Si stima, infatti che attualmente siano prodotte più di 5.000 varietà di cibi e bevande fermentati.

Ma qual è la definizione di cibo fermentato?

I cibi fermentati sono “cibi realizzati attraverso la crescita di microrganismi voluti e che determina la modificazione enzimatica delle sue componenti “2

La definizione include cibi e bevande prodotti dalla fermentazione ma che potrebbero non avere microrganismi viventi al momento del consumo.

Alimenti fermentati, come il pane, vengono cotti dopo la fermentazione, uccidendo i microrganismi di fermentazione e la produzione di alcuni alimenti fermentati (ad esempio, la maggior parte birre e vini) include alcuni passaggi che rimuovono i microrganismi vivi dai prodotti finiti.

I principali microrganismi utilizzati nei processi di fermentazione sono batteri lattici (LAB), batteri acetici (AAB), bacilli o altri batteri, lieviti o funghi filamentosi. I batteri lattici sono un gruppo di batteri Gram-positivi e sono tra i microrganismi più importanti e ampiamente utilizzati nella fermentazione dei prodotti lattiero-caseari, della carne, dei cereali e dei vegetali3.

Oltre ai batteri lattici, alcuni alimenti fermentati come il Natto o l’aceto sono prodotti con specie particolari di Bacillus e batteri acetici, rispettivamente.

Per il pane, vino, birra o alcune fermentazioni alcoliche generalmente vengono utilizzati funghi, lieviti produttori di etanolo, della specie dei Saccharomyces.

Penicillium, Aspergillus e Rhizopus sono usati per i latticini, la carne e prodotti a base di soia.

Se fatti correttamente da ingredienti sicuri e sani, i cibi fermentati raramente sono pericolosi4. Ciò nonostante, alcuni formaggi e cibi fermentati a bassa acidità possono essere contaminati da Listeria

monocytogenes, Salmonella, Clostridium botulinum o altri patogeni di origine alimentare5,6.

L’alcol (ad esempio, vino, birra e liquori) e il sale (ad esempio, salsa di soia o kimchi) sono costituenti intrinseci di alcuni alimenti fermentati e dovrebbero essere consumati con moderazione.

Istamina, tiramina e altre ammine biogene sono formate da alcuni batteri lattici tramite la decarbossilazione degli amminoacidi durante la fermentazione di formaggi, carni, verdure, semi di soia e vino7. Queste ammine, se i nostri sistemi di detossicazione non sono molto efficienti, possono causare effetti come l’emicrania8.

Nonostante queste contrindicazioni, è una tecnica che può migliorare le proprietà degli alimenti trasformando materie prime insipide in prodotti nutrienti e appetibili. Inoltre, può anche migliorare la sicurezza alimentare e la qualità nutritiva rimuovendo sostanze tossiche o composti anti nutritivi dalle materie prime. Un esempio è la rimozione di composti tossici durante la fermentazione di cereali, legumi e tuberi.

Durante le fermentazioni a lievitazione naturale, alcuni batteri lattici facilitano la degradazione dei fitati, composti presenti nei cereali che riducono l’assorbimento nel tratto gastrointestinale di calcio, magnesio e zinco9.

Inoltre, la fermentazione riduce la concentrazione di monosaccaridi e disaccaridi ipercalorici come glucosio, saccarosio e fruttosio presenti nel latte, carne e verdure. La riduzione degli zuccheri riduce l’indice glicemico10,11 e migliora la tollerabilità alimentare. Nei cibi contenenti polifenoli, la conversione di composti fenolici da parte dei lattobacilli11 aumenta la biodisponibilità di flavonoidi, tannini e altri composti bioattivi12,13.

Insomma, i benefici sono tanti e seppur i microrganismi contenuti nei cibi fermentati non sopravvivono a lungo nell’intestino, la colonizzazione a breve termine è sufficiente per sintetizzare composti bioattivi e inibire i patogeni intestinali.

Secondo alcuni studi, gli alimenti fermentati possono influenzare la composizione del microbiota intestinale14 e se consumati durante la prima infanzia riducono il rischio di dermatiti atopiche e allergie15.

Insomma, come abbiamo sempre detto una alimentazione sana è caratterizzata essenzialmente da equilibrio e inserire nella nostra alimentazione in maniera equilibrata i prodotti fermentati non può che fare bene alla nostra salute. La cosa importante è che siano prodotti sicuri.

 

1.Arranz-Otaegui, A., Gonzalez Carretero, L., Ramsey, M. N., Fuller, D. Q. & Richter, T. Archaeobotanical evidence reveals the origins of bread 14,400 years ago in northeastern Jordan. Proc. Natl Acad. Sci. USA 115, 7925–7930 (2018)

2.Health benefits of fermented foods: microbiota and beyond.

Marco ML, Heeney D, Binda S, Cifelli CJ, Cotter PD, Foligné B, Gänzle M, Kort R, Pasin G, Pihlanto A, Smid EJ, Hutkins R

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3.Gänzle, M. G. Lactic metabolism revisited: metabolism of lactic acid bacteria in food fermentations and food spoilage. Curr. Opin. Food Sci. 2, 106–117 (2015)

4.Arranz-Otaegui, A., Gonzalez Carretero, L., Ramsey, M. N., Fuller, D. Q. & Richter, T. Archaeobotanical evidence reveals the origins of bread 14,400 years ago in northeastern Jordan. Proc. Natl Acad. Sci. USA 115, 7925–7930 (2018)

5.O’Connor, P. M., Ross, R. P., Hill, C. & Cotter, P. D. Antimicrobial antagonists against food pathogens: a bacteriocin perspective. Curr. Opin. Food Sci. 2, 51–57 (2015).

6. Nout, M. J. R. Fermented foods and food safety. Food Res. Int. 27, 291–298 (1994)

7.Spano, G. et al. Biogenic amines in fermented foods. Eur. J. Clin. Nutr. 64 (Suppl. 3), S95–S100 (2010).

8.Alvarez, M. A. & Moreno-Arribas, M. V. The problem of biogenic amines in fermented foods and the use of potential biogenic amine-degrading microorganisms as a solution. Trends Food Sci. Technol. 39, 146–155 (2014).

9.Sharma, N. et al. Phytase producing lactic acid bacteria: Cell factories for enhancing micronutrient bioavailability of phytate rich foods. Trends Food Sci. Technol. 96, 1–12 (2020).

10.Capurso, A. & Capurso, C. The Mediterranean way: why elderly people should eat wholewheat sourdough bread-a little known component of the Mediterranean diet and healthy food for elderly adults. Aging Clin. Exp. Res. 32, 1–5 (2020).

11.Wolever, T. M. Yogurt is a low-glycemic index food. J. Nutr. 147, 1462s–1467s (2017).

12.Gaur, G. et al. Genetic determinants of hydroxycinnamic acid metabolism in heterofermentative lactobacilli. Appl. Environ. Microbiol. 86, e02461-19 (2020).

13.Septembre-Malaterre, A., Remize, F. & Poucheret, P. Fruits and vegetables, as a source of nutritional compounds and phytochemicals: Changes in bioactive compounds during lactic fermentation. Food Res. Intern. 104, 86–99 (2018).

14.Sun, B. et al. Evolution of phenolic composition of red wine during vinification and storage and its contribution to wine sensory properties and antioxidant activity. J. Agric. Food Chem. 59, 6550–6557 (2011).

15.Falony, G. et al. Population-level analysis of gut microbiome variation. Science 352, 560–564 (2016).

16. Hesselmar, B., Hicke-Roberts, A. & Wennergren, G. Allergy in children in hand versus machine dishwashing. Pediatrics 135, e590–e597 (2015

Piramide alimentare: valori nutrizionali e non solo!


La piramide alimentare è la rappresentazione grafica della corretta alimentazione che in linea di massima tutti conosciamo.

Seppur ce ne dimentichiamo quando vogliamo perdere peso, tutti sappiamo che ogni giorno dovremmo consumare:

Cereali: una o due porzioni per pasto sotto forma di pane, pasta, riso, couscous e altri. Preferibilmente

grano intero, poiché la lavorazione normalmente rimuove la fibra e alcuni nutrienti preziosi (Mg, Fe, vitamine, ecc.)1

Verdure: due o più porzioni per pasto meglio cruda garantire almeno l’assunzione giornaliera di vitamine e minerali.2

Frutta: una o due porzioni. E’ importante portare a tavola frutta e verdure di tanti colori diversi in modo da garantire un’ampia varietà di antiossidanti e composti protettivi.3

I latticini dovrebbero essere presenti in quantità moderate, meglio se sotto forma di yogurt o fermentati. Sebbene la loro ricchezza in Ca sia importante per la salute delle ossa e del cuore, i latticini possono essere una delle principali fonti di grassi saturi4.

L’olio d’oliva si trova al centro della piramide; esso dovrebbe essere la principale fonte di lipidi alimentari date le sue elevate qualità nutritive. E’ consigliato sia come condimento che nelle cotture visto la sua resistenza alle alte temperature. D’altronde, ci sono tanti lavori scientifici che dimostrano che l’olio d’oliva è inversamente associato ad alcuni tumori ed è noto per influenzare positivamente i lipidi nel sangue 5,6.

Olive, noci e semi sono buone fonti di lipidi, proteine, vitamine, minerali e fibre7. Si consiglia un consumo ragionevole di olive, noci e semi (come a manciata) per uno spuntino sano.

Spezie, erbe aromatiche, aglio e cipolle sono un buon modo per consentire una riduzione dell’uso di sale, uno dei i principali fattori che contribuiscono allo sviluppo di ipertensione tra individui predisposti8.

E’ consigliata un’assunzione giornaliera di 1,5–2 L di acqua (equivalente a sei a otto bicchieri) sebbene tale quantità può variare tra le persone a causa dell’età, attività fisica, circostanze personali e condizioni meteorologiche.

Settimanalmente dovrebbero essere presenti una varietà di proteine di origine vegetale e animale.

Nella vera tradizione mediterranea i piatti, di solito, non contengono alimenti proteici di origine animale come ingrediente principale ma piuttosto come fonte di sapore.

Mentre il pesce e i crostacei, le carni bianche e le uova sono buone fonti di proteine ​​animali, le carni rosse e le carni lavorate (affettati) dovrebbe essere consumate in piccole quantità infatti è stato dimostrato come l’assunzione di tali carni sia associata ad alcune malattie croniche (tumori e malattie cardiovascolari)9,10.

La combinazione di legumi (più di due porzioni) e cereali è una combinazione ideale, sana fonte di proteine ​​vegetali e lipidi11.

Le patate vanno consumate con moderazione12 in quanto hanno un alto indice glicemico e nella tradizione, sono più comunemente preparate fritte.

Nel vertice superiore della piramide ci sono i cibi ricchi di zuccheri e grassi malsani (dolci) che andrebbero consumati occasionalmente. Zucchero, caramelle, pasticcini e bevande come succhi di frutta zuccherati devono essere consumati in piccole quantità e nelle occasioni.

Questi alimenti sono densi di energia e contribuiscono all’aumento di peso. Zuccheri semplici, che sono abbondanti in dolci, pasticcini, succhi di frutta e le bevande analcoliche, sono state associate ad una aumentata comparsa di carie.

Una delle innovazioni più grandi della nuova piramide alimentare sono le raccomandazioni in merito allo stile di vita.

Questi concetti sono rappresentati al di fuori della piramide, ma sono alla sua base e sono:

Moderazione

Le dimensioni delle porzioni dovrebbero essere basate sulla frugalità e sulla moderazione.

Socializzazione

La convivialità è un aspetto importante per il valore sociale e culturale del pasto al di là degli aspetti nutrizionali. In questo senso vanno tenuti presenti diversi fattori legati al cibo (inteso come fatto sociale), come le attività culinarie, i saperi trasmessi di generazione in generazione e il tempo dedicato ai pasti.

Tutti questi aspetti contribuiscono a generare o rafforzare la socialità, la comunicazione e l’identità delle comunità.

Il piacere associato alla convivialità dei pasti può influenzare positivamente i comportamenti alimentari e lo stato di salute.

Attività culinarie

La cosa meravigliosa di questa nuova piramide alimentare è il fatto che si sottolinei la possibilità di dedicare tempo e spazio sufficienti alle attività culinarie, tenendo conto del loro ruolo nei pasti quotidiani, nelle celebrazioni e nelle feste religiose di ogni cultura.

Attività fisica

La pratica regolare di un’attività fisica moderata (almeno 30 minuti durante il giorno) è un fattore importate da associare alla dieta bilanciata che consente di mantenere un peso corporeo sano e fornisce molti altri benefici per la salute.

L’attività fisica non riguarda solo gli sport come il calcio, la danza, il jogging, il ciclismo, ecc.

Ma anche camminare, fare le scale invece di prendere l’ascensore, i lavori domestici, il giardinaggio, ecc. Praticare attività ricreative all’aperto13, e preferibilmente con altri, rende più piacevole e rafforza il senso di comunità.

Riposo adeguato

Anche il riposo durante il giorno (pisolino) e un sonno notturno adeguato fanno parte di uno stile di vita sano ed equilibrato. Prove scientifiche hanno dimostrato che un breve riposo dopo aver mangiato è un’abitudine mediterranea sana e tradizionale che aiuta a promuovere uno stile di vita equilibrato14.

Stagionalità

La preferenza per alimenti stagionali, freschi e poco lavorati, ovviamente consente di avere un maggior apporto di sostanze nutritive e protettive nella dieta.

Attualmente e a causa dello stile di vita moderno, il consumo di cibi freschi viene sostituito da altri alimenti trasformati.

C’è da dire che i progressi nella tecnologia moderna riducono al minimo la perdita di nutrienti e offrono alternative sane15. Soprattutto nel caso dei prodotti freschi, diversi fattori influenzano il loro valore nutrizionale: i metodi di coltivazione utilizzati, la varietà specifica scelta, la maturazione alla raccolta, la manipolazione post-raccolta, lo stoccaggio, l’entità e il tipo di lavorazione e la distanza di trasporto. Pertanto, conoscere e scegliere consapevolmente alimenti di cui si conosce il percorso dal seme alla tavola consente di avere a disposizione alimenti con un alto contenuto di nutrienti.

Per questo è importante la selezione di prodotti locali che aiutano l’ambiente e di cui si conosce l’intera filiera.

Insomma… che dire? Una piramide non è fatta solo dalla base ma anche dalla base e quindi se il valore nutrizionale è importante non meno lo sono tutti gli altri valori e significati che il cibo ha.

 

  1. Slavin, J(2004) Whole grains and human health. Nutr Res Rev 17, 99–110.
  2. Tang, L, Zirpoli, GR, Guru, Ket al. (2008) Consumption of raw cruciferous vegetables is inversely associated with bladder cancer risk. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 17, 938–944.
  3. Khoo, HE, Prasad, KN, Kong, KWet al. (2001) Carotenoids and their isomers: color pigments in fruits and vegetables. Molecules 16, 1710–1738.
  4. Ascherio, A(2002) Epidemiological studies on dietary fats and coronary heart disease. Am J Med 113,  9B, 9S–12S.
  5. Bertuzzi, M, Tavani, A, Negri, Eet al. (2002) Olive oil consumption and risk of non-fatal myocardial infarction in Italy. Int J Epidemiol 31, 1274–1277.
  6. Pérez-Jiménez, F, Lista, JD, Pérez-Martínez, Pet al. (2006) Olive oil and haemostasis: a review on its healthy effects. Public Health Nutr 9, 1083–1088.
  7. Sabaté, J, Ros, E& Salas-Salvadó, J (2006) Nuts: nutrition and health outcomes. Preface. Br J Nutr 96, Suppl. 2, S1–S2.
  8. World Health Organization(2004) Global Strategy on Diet, Physical Activity and Health. The Fifty-seventh World Health Assembly, Resolution WHA57. Geneva: WHO; available at http://www.who.int/gb/ebwha/pdf_files/WHA57/A57_R17-en.pdf
  9. World Health Organization(2003) Diet, Nutrition and the Prevention of Chronic Diseases. Joint WHO/FAO Expert Consultation. WHO Technical Report Series 916. Geneva: WHO.
  10. Micha, R, Wallace, SK& Mozaffarian, D (2010) Red and processed meat consumption and risk of incident coronary heart disease, stroke, and diabetes mellitus: a systematic review and meta-analysis. Circulation 121, 2271–2283.
  11. Bazzano, L, He, J, Ogden, Let al. (2001) Legume consumption and risk of coronary heart disease in US men and women: NHANES I Epidemiologic Follow-up Study. Arch Int Med 161, 2573–2578.
  12. Willett, W, Manson, J& Liu, S (2002) Glycemic index, glycemic load, and risk of type 2 diabetes. Am J Clin Nutr 76,  1, 274S–280S.
  13. Thompson, J, Boddy, K, Stein, Ket al. (2011) Does participating in physical activity in outdoor natural environments have a greater effect on physical and mental wellbeing than physical activity indoors? A systematic review. Environ Sci Technol 45, 1761–1772.
  14. Ficca, G, Axelsson, J, Mollicone, DJet al. (2010) Naps, cognition and performance. Sleep Med Rev 14, 249–258.
  15. Sizer, F& Whitney, E (2000) Food Safety and Food technology. In Nutrition concepts and controversies, pp. 507–545 [A Williams, J Wood and C Winter, editors]. Belmont: Wadsworth, Thomson Learning.

Babywearing e Consulente del Portare®


Sempre più si vedono donne portare il proprio bambino. Ma portare non è affatto una moda!

In passato portare i propri bambini era la normale modalità di accudimento e anche un metodo indispensabile per poter svolgere le attività quotidiane, senza mettere in pericolo il cucciolo.

Una modalità di accudimento ancestrale che rispetta i bisogni fisiologici del cucciolo di uomo: infatti, a ben vedere, i cuccioli di uomo hanno mantenuto tutta una serie di riflessi che indicano la necessità di vicinanza del genitore. Per esempio il riflesso di prensione oppure la cifosi della colonna vertebrale e la composizione del latte che richiede un allattamento frequente.

D’altronde, oggi come in passato lasciare un neonato solo significa esporlo a morte certa.

Portare è anche un metodo direi quasi indispensabile che consente al genitore di accudire i propri bambini avendo le mani libere per poter svolgere delle attività.

Non parlerò dei vantaggi pratici che diciamo sono abbastanza immediati. Avere le mani libere e poter lavorare, cucinare, pulire casa, fare una passeggiata o accudire un secondo o terzo figlio è il primo vantaggio che spesso si nota portando i propri bambini. E devo dire che anche io ho amato molto il portare perché mi ha permesso di fare tante cose pratiche che altrimenti sarebbero state impossibili.

Poi però ci sono altri aspetti che seppur non immediati rendono la pratica del portare magica e meravigliosa.

Il contatto aumenta i livelli di ossitocina non solo nella madre ma anche nel padre aumentando la sincronia e il coinvolgimento1.

L’ossitocina è una molecola meravigliosa che porta con sé numerosi vantaggi.

Infatti, è stato riscontrato che livelli più elevati di ossitocina materna sono correlati a comportamenti interattivi più positivi2. Inoltre, si è vista una correlazione negativa tra ossitocina e livelli di ansia3. (non credo sia facile dimenticare l’odore del neonato che si porta in fascia e quella sensazione di benessere. Immagino sia così anche per il neonato)

Il contatto è stato dimostrato essere un fattore positivamente correlato all’aumento di peso, ad un numero significativamente inferiore di apnee, ad una minor propensione all’alimentazione artificiale e sono state riscontrate differenze significative anche nel modo in cui i bambini piangono e dormono.

I bambini che sono a contatto hanno meno probabilità di piangere in modo continuo e maggiori probabilità di dormire bene rispetto ai bambini non a contatto4.

Il contatto è stato dimostrato migliorare lo sviluppo cognitivo del bambino e le funzioni esecutive da 6 mesi a 10 anni. Entro i 10 anni di età, i bambini che hanno ricevuto un accudimento a contatto hanno mostrato una risposta allo stress attenuata, un sonno organizzato e un migliore controllo cognitivo5.

Seppur sono necessari ulteriori studi, sembra che il contatto riduca le coliche6 (parleremo delle coliche in un altro articolo! ;)).

Insomma i benefici di “indossare il bambino in braccio” o meglio del Babywearing sono davvero tanti.

L’importante tuttavia è farlo in sicurezza.

In passato, questa attenzione non c’era e i bambini venivano portati con tanti supporti a volte adeguati alla fisiologia del neonato e altre volte no.

Oggi l’attenzione alla pratica del portare è aumentata e esistono tantissime tecniche di legatura e tantissimi supporti che devono essere adeguatamente scelti in base al momento della crescita e alle esigenze del genitore e del bambino.

Ecco perché sempre più prende piede la Consulente del Portare® o Babywearing Educator®.

Una figura che promuove la genitorialità a contatto e che aiuta i genitori ad avvicinarsi a questa pratica in sicurezza e con serenità.

Anche perché per una buona pratica del portare è necessario seguire delle regole.

E’ molto importante utilizzare un supporto idoneo che sia ergonomico come può essere la fascia o anche dei marsupi che rispettino alcune caratteristiche o dei Mei Tai etc. Esistono tantissimi supporti che si adattano alle diverse età ed esigenze di mamma e bambino. Tutti i supporti tuttavia devono avere dei tessuti traspiranti e colorazione atossica senza nessun inserto metallico.

Inoltre, è importante imparare a fare delle legature sicure che rispettivo la fisiologia del neonato nelle varie fasi di crescita e che distribuiscano correttamente il peso del bambino. Insomma, una buona pratica del portare passa dalla conoscenza e dalla competenza.

Quando ho partorito mia figlia, avevo già contattato una Consulente del Portare per comprendere meglio questa pratica, sapendone i vantaggi a livello emotivo e immaginando la necessità pratica di tornare a lavoro a pochi mesi dopo il parto. Mai mi sarei immaginata di innamorarmi della magia e della ritualità di quei gesti che ci hanno accompagnate tutti i giorni fino a quando mia figlia ha imparato a camminare e che fanno capolino saltuariamente ora, solo per ritornare a quell’odore e a quella coccola che credo né io né lei scorderemo mai.

E dai quei gesti, da quella ripetizione silenziosa e attenta delle legature e da quell’odore di tenerezza e amore che ho deciso di diventare Consulente del Portare®.

 

  1. Oxytocinand early parent-infant interactions: A systematic review.

Scatliffe N, Casavant S, Vittner D, Cong X.

 

  1. Maternal mental health moderates the relationship between oxytocin and interactive behavior. Samuel S.
  2. Increase in oxytocin from skin-to-skin contact enhances development of parent-infant relationship.

Vittner D

  1. Infant Crying: Nature, Physiologic Consequences, and Select Interventions

Ludington-Hoe, Susan, Cong, Xiaomei, Hashemi, Fariba

  1. Maternal-Preterm Skin-to-Skin Contact Enhances Child Physiologic Organization and Cognitive Control Across the First 10 Years of Life

Ruth Feldman et al.

  1. Feasibility of using kangaroo (skin-to-skin) care with colicky infants

Marsha L Cirgin Ellett  et al.

 

 

Nutrizione Sistemica


Cosa è per me la “Nutrizione” e cosa significa Mangiare?

Da biologa e dunque da un punto di vista prettamente fisiologico mangiare significa nutrire il corpo con alimenti sani e dal giusto valore nutrizionale con la misura adeguata ai nostri fabbisogni.

Da biologa sistemica mangiare significa nutrire il corpo e la mente (in senso ampio) di cibo sano e gratificante cercando di raggiungere un equilibrio dinamico che porta verso la salute e il benessere.

Cosa significa?

Mangiare è sicuramente un atto essenziale per vivere e mangiare cibo sano ci permette di prenderci cura di noi e di stare in salute. Tuttavia la nutrizione non è solo una questione organica ma include anche aspetti culturali, sociali, relazionali etc.

In questo modo il cibo acquista un valore in più che il semplice valore nutrizionale e acquisisce il valore di “nutrimento” della persona nei suoi bisogni più profondi.

Nella visione sistemica il disagio nei confronti del cibo o del proprio aspetto, oltre che le patologie, derivano dall’alterazione di un equilibrio che può essere ripristinato prendendo in considerazione tutta la persona sia nei suoi aspetti fisiologici sia psicologici e sociali e che vede la collaborazione attiva del proprio io al ripristino del proprio stato di salute.

Per cui mangiare per me diventa un atto molto intimo e profondo che necessita della consapevolezza non solo del valore nutrizionale di quell’alimento e di ciò che quell’alimento determina a livello fisiologico nel mio corpo, e anche del valore profondo che io do a quell’alimento, al colore di quell’alimento, al suo profumo, al suo sapore e di quello che tutto ciò smuove a livello emozionale dentro di me.

 

Non c’è un solo frammento isolato in tutta la natura, ogni frammento fa parte di un’unità armoniosa e completa. (John Muir)


Cosa è per lei la “Nutrizione”? Cosa significa “mangiare”?

Questa una domanda che mi è arrivata per il nostro blog da una persona anonima che non si è voluta firmare e che però spero che legga.

La ringrazio innanzitutto per la domanda perché mi da modo di approfondire un argomento a me molto caro.

Potrei rispondere alla domanda in due modi o integrarli entrambi (cosa che mi appartiene avendo una formazione sistemica).

Da biologa e dunque da un punto di vista prettamente fisiologico mangiare significa nutrire il corpo con alimenti sani e dal giusto valore nutrizionale con la misura adeguata ai nostri fabbisogni. Da biologa sistemica mangiare significa nutrire il corpo e la mente (in senso ampio) di cibo sano e gratificante cercando di raggiungere un equilibrio dinamico che ci porta verso la salute e il benessere.

Cosa significa?

Mangiare è sicuramente un atto essenziale per vivere e mangiare cibo sano ci permette di prenderci cura di noi  e di stare in salute ma la nutrizione non è solo una questione organica ma include anche aspetti culturali, sociali, relazionali etc.

In questo modo il cibo acquista un valore in più che il semplice valore nutrizionale ma acquisisce il valore di “nutrimento” della persona nei suoi bisogni più profondi.

Nella visione sistemica il disagio nei confronti del cibo o del proprio aspetto oltre che le patologie derivano dall’alterazione di un equilibrio che può essere ripristinato prendendo in considerazione tutta la persona sia nei suoi aspetti fisiologici sia psicologici e sociali e che vede la collaborazione attiva del proprio io al ripristino del proprio stato di salute.

Per cui mangiare per me diventa un atto molto intimo e profondo che necessita della consapevolezza non solo del valore nutrizionale di quell’alimento e di ciò che quell’alimento scatena a livello fisiologico nel mio corpo ma anche del valore profondo che io do a quell’alimento, al colore di quell’alimento, al suo profumo, al suo sapore e di quello che tutto ciò scatena a livello emozionale dentro di me.

Spero di aver risposto in maniera chiara ma sono curiosa di sapere cosa ne pensate voi.
Cosa significa per voi “mangiare”? Cosa significa “nutrizione”?

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Tutto quello che devi sapere prima di prenotare una visita.

Nutrizionista o Dietista?

Vediamo insieme quali sono le differenze tra biologo nutrizionista, dietista e specialista in scienze dell'alimentazione.